L’attore spiega come le sue canzoni raccontino molto di se stesso.
Russell Crowe non è solo una brillante stella del cinema che ha fatto sognare milioni di spettatori con le sue interpretazioni. Nella vita dell’attore c’è anche tanta musica, un mezzo per esprimersi e anche per generare la propria felicità. Parlando nell’intervista a GQ della differenza tra il set e il palco, spiega di quest’ultimo: è “un reset e un riequilibrio”.
Reset e riequilibrio
“È un po’ come un reset e un riequilibrio. C’è un livello di anarchia che si accompagna al compito di salire su un palco, perché non sai mai veramente cosa succederà quella notte”. L’inaspettato e ciò che si crea durante l’esibizione anche con il pubblico per Russell Crowe è motivo di equilibrio e tranquillità. Un modo per ricaricarsi, insomma. “Potresti avere un elenco di brani prescritto o altro, o cose nella tua mente che potresti voler dire, o qualcosa ritorna dal pubblico, o la loro risposta a una certa canzone o altro, e la serata assume semplicemente il suo significato. Quindi quella sensazione di saltare da un dirupo in quel modo, mi riporta in un posto molto tranquillo”.
Musica, comunicazione e felicità
“Ho detto per molto tempo che imparerai molto di più su di me ascoltando quello di cui canto le canzoni piuttosto che leggendo quello che potrei dire in un’intervista”. L’attore spiega come la musica utilizzi canali diversi per raggiungere il pubblico e come, a ogni modo, sia capace di arrivare per toccare le giuste corde. “E le canzoni hanno un modo molto strano di raggiungerti. Puoi scrivere una canzone su qualcosa che poi diventa una verità nella tua vita”. Russell Crowe racconta come le scelte della sua vita, compresa la musica, gli hanno permesso di raggiungere la felicità che ha sempre desiderato: “Per tutta la vita, da bambino, avrei studiato storia all’università. Quella era la mia cosa, quella era la mia passione”.
Un intrattenitore
Poi le cose sono cambiate: “È successo che mio padre ha perso il lavoro mentre ero all’ultimo anno di liceo, ed è rimasto disoccupato per un anno e mezzo. Ed è stato meglio per la famiglia che io lasciassi la scuola e trovassi un lavoro così da poter contribuire, ed è quello che ho fatto”, spiega. “Sono diventato un intrattenitore perché quello era il modo in cui vedevo il futuro e avrei potuto influenzare la vita della mia famiglia. Ora ho due figli che praticamente possono fare quello che vogliono. Senza costrizioni. In generale, guardo il quoziente di felicità della mia famiglia e le persone fanno le proprie cose, ma so che a un certo punto ho avuto un’influenza nel far sì che fossero in grado di farlo”.