“Chiamateci maranza. Ma in periferia ci sono madri che dormono in cantina con i figli”.
Neima Ezza si racconta in un’intervista al Corriere della Sera. Il rapper (il cui vero nome è Amine Ezzaroui, classe 2001) è uno degli artisti più noti della sua generazione con 225 milioni di ascolti su Spotify. Ma lui non è famoso solo per la musica ma anche per le sue radici, e spesso è associato alle baby gang e ai cosiddetti ‘maranza’, termine dispregiativo che è una crasi tra marocchino e zanza, ladro. È arrivato a Milano a quattro anni, dove il padre già lavorava come ambulante. Con la famiglia ha vissuto fino a pochi anni fa in un bilocale nelle ormai famigerate case popolari di San Siro.
Il rapporto con il padre
Eppure, suo padre lavora ancora al mercato nonostante il successo del rapper. “Ancora per poco, spero, anche se gli piace. Con lui spesso il rapporto è stato di alti e bassi, ma adesso andiamo finalmente d’accordo”, ha fatto sapere Neima Ezza. “All’inizio non era molto convinto della mia scelta di fare musica: forse voleva proteggermi, non si fidava tanto dell’ambiente dello spettacolo. Quando ha capito che avevo la testa sulle spalle e non mi sarei perso, però, si è tranquillizzato. Ho appena preso casa in un paese fuori Milano dove andavo con lui a fare i mercati da ragazzino: ai tempi mi stupiva la tranquillità della zona, non ci ero abituato. Avrei voluto venissero anche i miei genitori, ma preferiscono restare dove sono per via dei problemi di mia sorella: sono più vicini all’ospedale. Così sono andato via solo io, anche se torno ogni giorno a San Siro. Mi manca troppo”.
La difficile infanzia
Come si sottolinea nell’intervista, il successo ha reso i testi del rapper più solari, eppure c’è indubbiamente sempre una grande malinconia di fondo. “Pensavo che il successo mi avrebbe reso felice, ma avrò sempre un vuoto dentro. La mia infanzia è stata molto difficile: mi sono mancate anche le piccole gioie, come allenarmi a calcio o andare in gita scolastica, perché non c’erano le possibilità economiche“, ha spiegato Neima Ezza. “Quest’album è una lettera al piccolo Amine: gli racconto che migliaia di persone lo acclameranno ai suoi concerti, ma tutto ciò non basterà. Vorrei che i miei fan capissero che tutti i traguardi del mondo non possono rimpiazzare una vacanza spensierata da bambino con mamma, papà e le mie sorelle. Quelle cose non le riavrò mai. Però la mia vita è cambiata in meglio, e di questo ringrazio Dio ogni giorno. Fino a un paio di anni fa temevo che avrei fatto una bruttissima fine, che sarei finito a spacciare o a rubare. E invece… Il mio unico obbiettivo è fare stare bene la famiglia, permettere ai miei genitori di non sacrificarsi più”.
E infine, si parla dei giovani del quartiere che sono da anni nel mirino dell’opinione pubblica. E quando l’intervistatore sottolinea: “Oggi più che mai, a giudicare dai toni di alcuni talk show. Cosa ne pensa?“, il rapper risponde: “Oggi ce l’hanno coi maranza, un tempo coi punkabbestia o con la techno. Non prendo seriamente un certo tipo di tv e non mi riconosco nei personaggi che parlano in quelle trasmissioni: noi di seconda generazione siamo ragazzi normali“.