“I critici mi hanno sempre impallinato, ma io me ne fregavo”.
Massimo Boldi ha rilasciato un’intervista a Repubblica in cui ha condiviso aneddoti della sua lunga carriera. Ha parlato di successi e delusioni, e ha anche rivelato che Raffaella Carrà lo odiava a causa della sua incapacità di comprendere il suo umorismo., oltre al fatto che che lui e Teo Teocoli si picchiavano davvero dietro le quinte dei loro spettacoli.
Non capiva questo modo di far ridere
Il comico ha ricordato il suo debutto televisivo: “Nel 1974 Pozzetto mi portò a ‘Canzonissima’. Con la stessa comicità stralunata di Cochi e Renato, e d’altronde la scuola era la stessa, il Derby. Mi pagavano 50mila lire a puntata. Anche se rischiai di farne poche: la Carrà mi odiava perché non capiva questo modo di far ridere”. Massimo Boldi riguardo alle critiche ricevute per la sua comicità ha affermato: “Ah certo, i critici di cinema e TV mi hanno sempre impallinato. Ma io me ne sono fregato e ho sempre pensato al pubblico, che mi ha sempre contraccambiato. Faccio una comicità istintiva, di pancia. Non vedo il problema“.
Il rapporti con i colleghi
Ha ricordato i litigi sul palco con Teo Teocoli: “Ma litigavamo anche dietro le quinte, e lì c’era poco da ridere. Ci menavamo spesso: Teo è un prepotente. Ma siamo sempre amicissimi“. Massimo Boldi ha anche parlato del suo rapporto con Christian De Sica: “Non c’è nessun problema, siamo sempre stati amici. E per sempre intendo dal 1972, quando conobbi Christian che era ancora solo il figlio di Vittorio De Sica. Era un ragazzotto decisamente sovrappeso, ma elegante e bravissimo a fare il crooner alla Sinatra. Poi ci perdemmo di vista finché non iniziammo a fare panettoni filmici. E il resto si sa“.
E lì incominciò tutto
Ha parlato del Derby, un famoso locale di cabaret milanese. Ha confermato che i racconti intorno a quel luogo sono veri: “Una gabbia di matti fantastica. Ci entrai come musicista, quando mi dissero che si faceva cabaret io manco sapevo cosa fosse, pensai al cabaret delle paste, anche perché il mio lavoro era vendere brioche. Ma fui subito rapito dalla magia di gente come Paolo Villaggio, i Gufi, Cochi e Renato, Jannacci. Prendevo 5 mila lire al giorno, anzi, a notte: lavoravo dalle 21 alle 4. Il gestore si chiamava Gianni Bongiovanni, e io ne facevo l’imitazione, tutta borbottii e frasi sconnesse. Finché mi beccò e mi gettò sul palco ordinandomi di ripeterla. E lì incominciò tutto”.