La vera gentilezza sarebbe di non fare film del genere.
Quanti tipi di gentilezza esistono? Beh, c’è chi per gentilezza apre la portiera della macchina e chi cerca di asportarsi il fegato da solo per cucinartelo a pranzo. C’è chi ti porta un vassoio di pasticcini e chi invece investe persone a comando… con l’automobile, su richiesta. C’è chi ti dice grazie sempre, per ogni cosa, anche la più piccola e chi per gentilezza ti chiude dentro una sauna mandando la temperatura al massimo finché non svieni. Insomma ci sono davvero tante sfumature di gentilezza… ma davvero? No, parliamone un attimo. Avete letto del fegato asportato, dell’omicidio su commissione e della faccenda della sauna… possiamo definirli gentilezza? A quanto pare Yorgos Lanthimos sì, tanto da averci fatto un film. Un altro, perché ha tante cose da dire. Pensate che l’ha persino diviso in tre parti, cioè tre mini film in un grande film proiettato sul grande schermo in una grande sala per un grande tempo. Ma perché? No, intendo perché Kind of Kindness? Perché Povere Creature!2! (scritto così), avrebbe rappresentato un orrore ortografico sincopato che avrebbe tolto tutto il piacere dell’effetto sorpresa quando, finalmente, arrivano i titoli di coda. E poi comunque suona bene: kind of kindness, mind of mindness, sh*t of sh*tness e chi più ne ha più ne metta. Andiamo per gradi (non quelli del processo, lì finiremmo alla Cassazione con tutti questi step filmici), a capire perché la gentilezza non è acqua e nemmeno l’acqua è acqua ma sono lacrime.
Fammi un favore: investi quel tizio
Ecco il primo mini siparietto lanthimosiniano. Raymond, ricchissimo-cattivissimo interpretato da Willem Dafoe, fa richieste stranissime al suo dipendente – anzi, dipendentissimo – Robert, interpretato da Jesse Plemons. Cose del tipo, dimagrisci, leggi questo libro, bevi questo drink, non andare a letto con tua moglie e via discorrendo. In cambio dei compiti che vengono svolti, Raymond garantisce a Robert una bella casa, un buon lavoro e coiti, di tanto in tanto, con lui e la sua compagna. Tutto bellissimo e pieno di gentilezza, non fosse che queste richieste sono in realtà morbose manie di controllo. La manipolazione si spinge oltre, al punto che Raymond chiede a Robert di schiantarsi con la sua macchina contro un’altra macchina per uccidere un uomo. Fatto sta che Robert, lì per lì, non se la sente: okay riempire sua moglie di pillole abortive e convincerla di essere sterile su richiesta di Raymond ma questo è troppo. Soprattutto, Robert ha paura di morire anche lui nell’incidente. Cosa che potrebbero capitare, no?
Il rifiuto, però, non viene preso benissimo, tanto che gli viene tolto tutto: moglie, lavoro, dignità e pure i coiti. Insomma alla fine Robert capisce che deve trovarsi un’altra donna. E per farlo che fa? Quello che Raymond gli disse di fare la prima volta. Va in un bar, vede una bella donna – tale Rita, interpretata da Emma Stone – si rompe di proposito un piede con un calcione ben assestato nel bagno del bar e si fa accompagnare in ospedale da lei (nei film di Lanthimos il dolore di un piede rotto è pari a quello di una sbucciatura su un gionocchio). Da lì comincia una semi-storia inquietante tra i due finché Robert fa una brutta scoperta: Raymond lo sta rimpiazzando proprio con Rita, alla quale ha chiesto di investire lo stesso uomo. E lei ci è pure riuscita! Insomma, sconcertato, aggredisce un infermiere nell’ospedale (dove l’uomo-bersaglio è ricoverato in stato incosciente), ruba i vestiti dell’infermiere e con il piede fratturato porta il tizio-bersaglio in barella fino al parcheggio. Zoppicando zoppicando, Robert rovescia il tizio a terra come fosse un sacchetto dell’umido, sale in macchina e passa sopra l’uomo svariate volte, visto che una colonna gli permette di fare il giro, tipo rotatoria. Poi, lievemente scosso, dice tutto a Raymond che torna ad amarlo e tutti vissero felici e contenti. Essere gentili con gli altri, insomma, vale la pena.
Per cena? Indice e fegato, grazie
Ecco, se credevamo che il festival delle assurdità fosse finito, ci rendiamo conto che ci sbagliavamo di grosso quando attacca la seconda storia. Tornano gli stessi attori, ma in ruoli diversi e posti diversi e già qui siamo confusi come zebre che cercano di contarsi le strisce da sole. Ad ogni modo… seconda storia. Daniel, (sempre Jesse Plemons) è un poliziotto sposato con Liz (Emma Stone), ricercatrice dispersa su un’isola deserta per un sacco di tempo. Vi risparmio la faccenda curiosa di quest’isola governata dai cani… è troppo anche per me. Torniamo a Daniel che sta per impazzire per la mancanza di Liz, soprattutto perché ne ricorda gli aspetti migliori: il fatto che non mangiasse cioccolata e le orge con gli amici di sempre, Neil e Martha, con tanto di video-ricordo.
Per fortuna Liz viene ritrovata ma Daniel vede in lei qualcosa di diverso: le sue vecchie scarpe non le stanno più, mangia un sacco di cioccolata e quindi si convince che si tratti di un clone e non di sua moglie. Viene preso per matto e messo sotto psicofarmaci, cosa che però non gli impedisce di restare convinto di quello che crede. Così, prima fa lo sciopero della fame e poi, vista la tendenza di Liz-clone a insistere sul fatto che si debba nutrire, gli viene in mente qualcosa di buffo: le chiede di tagliarsi un dito e di cucinarglielo. E Liz-clone lo fa (torniamo al discorso di prima che nei film di Lanthimos il dolore fisico quasi non esiste).
Daniel, allora, decide di spingersi oltre e le chiede di asportarsi il fegato e di servirglielo per cena. E Liz-clone? Lo fa! Chiaramente muore, anche se nessuno capisce come abbia fatto a resistere a questo hara-kiri il tempo necessario all’operazione. Ma tanto nel cinema di Lanthimos la logica è stata picchiata e violentata diverse volte, quindi inutile farsi domande. Insomma, quando Daniel scende al piano di sotto, dalla porta di ingresso entra la vera Liz mentre Liz-clone se ne sta a terra dissanguata. Ah, Willem Dafoe c’è anche in questa storia: è il padre di Liz ma di lui non frega nulla a nessuno. Morale della favola? A volte per essere gentili si rischiano conseguenze… del tipo se Liz-clone avesse risposto che no, il fegato le serviva, le cose sarebbero andate diversamente. Conservate con cura i vostri organi interni, non potete mangiarli né farli mangiare.
La classe non è acqua e nemmeno l’acqua è acqua
Altro giro altra corsa. Siamo alla terza parte di questo mix di strampalate gentilezze varie che non si capisce per quale motivo dovrebbero convincere gli spettatori a spendere i soldi del biglietto. Stavolta Emma Stone è Emily, invasata seguace di una setta che non beve acqua ma lacrime piante da due santoni, di cui uno è Omi, interpretato da Willem Dafoe. C’è anche Jesse Plemons nei panni di Andrew, aiutante invasato dell’invasata Emily.
La storia è che Omi sta cercando di trovare una donna che, secondo una profezia tirata fuori da qualche oscuro cilindro magico, sarebbe capace di riportare in vita i morti. Per trovarla ha sguinzagliato Emily e Andrew, muniti solo di tante bizzarre teorie e di bottigliette d’acqua che non è acqua, ma sono lacrime. Parentesi: nessuno dei seguaci può bere altro che non siano quelle lacrime (come facciano a sopravvivere non è un problema che Lanthimos si è minimamene posto in fase di sceneggiatura). Insomma tra un buco nell’acqua e l’altro, Andrew e Emily stanno per rientrare alla base per l’ennesima volta a mani vuote, quando Emily incontra suo marito. Eh sì, è sposata e ha pure una figlia, ma ha scelto di vivere lontana da loro. Insomma il marito – super romantico, visto che non la vede mai – la invita a casa a bere una cosa… poi la droga e la stupra. Pieno di tristezza, però.
La setta di Omi, a questo punto, non può permettere ad Emily di tornare, a meno che non sia purificata. Quindi, la chiudono dentro una sauna e mandano la temperatura a mille gradi Fahrenheit per far sì che il suo corpo sudi l’impurezza. Chiaramente Lanthimos non immagina nemmeno la formula di conversione da gradi Fahrenheit a gradi Celsius (F-32 x 5/9), altrimenti avrebbe scoperto che la temperatura indicato nel suo film equivale a più di 500 gradi centigradi, bastante per fondere il piombo. Quisquilie all’interno di una quadro narrativo già abbastanza compromesso da crisi di scemenzite acuta.
Comunque, appena prima che diventi stufato con contorno di lacrime, la tirano fuori dalla camera-sauna. Però non è pura e la mandano via, bandita. Anche se Emily propone di lasciarla stufare finché non sarà possibile servirla con il tacchino nel Giorno del Ringraziamento, Omi e i suoi seguaci non si lasciano convincere e l’abbandonano nel mondo esterno, senza nemmeno una bottiglietta piena di lacrime. Che pena. Emily comunque aveva una pista da seguire: si rimbocca le maniche e riesce a trovare davvero la tizia capace di resuscitare i morti. Solo che, disdetta, ha un incidente in macchina e nell’impatto la tizia dei miracoli viene sbalzata fuori dal finestrino davanti e… muore. Nessuno può riportarla in vita. Fine. Insomma con un po’ di gentilezza in più, magari Emily non avrebbe finito per schiantarsi e uccidere l’unica persona davvero importante per la setta di Omi.
Cosa possiamo trarre da tutta questa abbondanza di gentilezza? Sicuramente che ce ne sono tanti tipi, magari non tutti ortodossi ma che è la sostanza che cont… ma no. No, no e poi no. Kind of Kindness, al di là dell’inesattezza del titolo ci riporta a una questione più profonda, cioè alle gentilezze che meriteremmo di ricevere. Del tipo che anche basta. Dopo questo secondo stepitoso sul-cesso, Yorgos Lanthimos potrebbe gentilmente smettere di illuminarci di contenuti audiovisivi. Ecco, sarebbe kindnissimo da parte sua.