Tra satira ed impegno sociale, arriva il suo nuovo spettacolo teatrale.
Immanuel Casto (all’anagrafe Manuel Cuni) è un’artista a 360° , uno di quelli che non amano classificarsi e ridursi ad un solo ruolo specifico. Venuto alla ribalta nei primi anni duemila con una serie di brani tanto brillanti quanto provocatori come Escort 25 e Crash (con la partecipazione di Romina Falconi), ha conquistato in breve tempo un pubblico ampio e fedele che l’ha poi seguito in tutte le sue successive evoluzioni artistiche. Nel 2012 ha pubblicato il suo primo gioco di carte Squillo, seguito da altri come Jenus e A Clash Of Religions, tutti con una visione satirica a provocatoria di sesso, religione e costumi sociali, argomenti ben presenti nella sua produzione musicali e trattati con un sapiente equilibrio di cabaret e seriosità. A breve sarà in tour in Italia con il suo nuovo spettacolo Non Erano Battute di cui ci spiega temi e curiosità.
Cantante, attore, monologhista, creatore di giochi… come ti definiresti?
È una domanda a cui faccio fatica a rispondere perché sono necessarie tutte queste definizioni. Effettivamente faccio tutte queste cose e farle per me è fondamentale Anzi proprio un passaggio molto importante della conoscenza di me stesso è stato accettare che io ho bisogno di fare queste cose. Socialmente è molto preferibile che una persona faccia una cosa, che si possa definire attraverso questa cosa. Chi come me ha un approccio multidisciplinare è consapevole o deve essere consapevole che ovviamente in uno degli ambiti in cui si muove non avrà mai la competenza di uno specialista. Il tipo di contributo che posso dare io è di sinergia, della messa in contatto tra vari ambiti, affidandomi poi allo specialista quando poi si entra nel dettaglio.
Partiamo dalla fine, quindi dal tuo nuovo spettacolo teatrale Non Erano Battute. Come ce lo descriveresti?
La cosa più vicina in assoluto a Non Erano Battute è la stand up comedy. C’è chi l’ha definito una via di mezzo tra una stand up comedy e un ted talk (tipo di video divulgativi su vari argomenti, spesso sottotitolati in diverse lingue, ndr) proprio per la commissione di registri. C’è chiaramente l’aspetto comico, ma anche quello divulgativo. Condivido delle riflessioni che spero essere profonde e spero abbiano valore per chi viene a vedere lo spettacolo. All’inizio mi preoccupava di più il fatto che la gente poteva rimanere un po’ spiazzata da questa strana commistione e invece vedo che in realtà piace questa formula. Del resto, fare solo una delle due cose mi avrebbe privato di una parte importante. Io principalmente mi limito a condividere delle mie riflessioni con un tono che agli altri può apparire tra il monocorde e il saccente, ma superato il fastidio iniziale questa cosa fa ridere a quanto pare. Lo spettacolo si intitola Non Erano Battute perché io spesso devo dire: “non era una battuta” quando la gente ride per cose che non erano battute. Magari mi avevano chiesto un parere oppure durante una discussione in chat. Forse la cosa deriva della formulazione molto lapidaria del tuo concetto oppure perché fai dei ragionamenti puramente logici e questa cosa risulta a molte persone un po’ straniante. Ci sono dei momenti dello spettacolo in cui appunto la gente ride e non so il perché e questo ti conferma ciò di cosa sto parlando.
All’inizio della tua carriera hai sconvolto la scena musicale italiana con un linguaggio molto forte e canzoni volutamente provocatorie, utilizzando spesso metafore pornografiche per veicolare i tuoi brani. Ora qualcosa è cambiata?
In realtà quest’aspetto metaforico non c’era, anzi la cosa che mi contraddistingueva suscitando reazioni forti − a volte positive, a volte anche molto negative − era proprio quest’assenza di intento simbolico. Io parlo di sesso per parlare di sesso, mentre nella musica pop è convenzione parlare attraverso delle metafore. Tantissime canzoni pop che sentiamo ogni giorno parlano di sesso, ma lo fanno appunto attraverso delle metafore o doppi sensi, con parole che potrebbero anche avere un’altra interpretazione. Mentre io, nelle canzoni in cui parlo di prostituzione come 50 Bocca 100 Amore o Escort 25 io parlo proprio di prostituzione. Questa cosa all’inizio spiazzava. Poi con il tempo la mia scrittura ha iniziato effettivamente a stratificarsi ed è andato più verso la satira, per diventare un affresco della società e dei suoi aspetti più morbosi. Aspetti che trovo sbagliati, ma senza io mettere un cartellino con scritto “questa cosa sbagliata”, perché confido che chi ti ascolta ci pensi e lo capisca; è una fiducia a volte mal riposta perché molti pensano che io sia d’accordo con le cose che sto scrivendo, però il senso era ed è proprio quello di fare un affresco, mettere a nudo certe cose utilizzando delle immagini forti.
Parlando dei giochi, l’ultimo che hai realizzato è Non Si Può Dire Più Niente, sull’argomento della cancel culture…
La censura e l’idea di riscrivere la storia non è una cosa ascrivibile unicamente all’epoca odierna. Voglio dire non è una cosa che hanno inventato oggi.
Napoleone diceva che “la storia è quella favola su cui ci siamo messi tutti d’accordo…”
Ecco, esattamente. Il senso è proprio questo. Il gioco di per sé è un gioco satirico sul dibattito Social, chiamiamolo così. I giocatori devono indovinare una carta immagine che rappresenta l’oggetto della polemica e il concetto è che tu apri i social e sono tutti incazzati, tutti indignati per qualcosa di cui dopo due giorni tutti se ne saranno dimenticati. In quel momento, però, sembra la cosa più importante del mondo e devi capire di che cosa stanno parlando gli altri grazie a degli indizi, che sono delle carte con delle frasi che riprendono, per l’appunto, frasi tormentoni delle varie “bolle social”.
Quanto ritieni che i social hanno cambiato la natura stessa delle interazioni umane?
Riguardo all’approccio cognitivo non saprei quantificare l’impatto, però sicuramente è un impatto enorme Sta cambiando il nostro mondo, parliamo di un’innovazione potentissima in seno a quella che sembra una catena infinita di innovazioni. Il progresso tecnologico a cui stiamo assistendo non è mai stato osservato prima nella storia a questa velocità. Noi, per motivi anagrafici, abbiamo visto l’ingresso del computer nelle case dove prima lo si trovava solo in qualche ufficio particolarmente avveniristico. Poi è arrivato il cellulare, internet, gli smartphone, i social e oggi si parla di intelligenza artificiale. Fino a pochi anni fa erano cose fantascientifiche e invece le viviamo ora. Pensa solo alla creazione di immagini di video o testi da zero tramite IA. Tutto questo non può non avere un impatto su di noi e i social sicuramente ne hanno avuto uno grande, Anche in positivo, beninteso. Tantissime cose che faccio oggi, non le avrei potuto fare se non fossero esistiti i social. Pensiamo anche a certe categorie sociali, soprattutto persone che vivrebbero in una condizione di isolamento fisico e logistico dato magari dal paese in cui abitano. I social ci hanno consentito di aprirci al mondo ed entrare in contatto con tantissime persone. Oltre questi giganteschi aspetti positivi, ce ne sono anche tanti altri molto negativi, soprattutto la spersonalizzazione dell’altro. Non c’è più la grande cultura del dibattito sano che vorrei vedere, sono abbastanza sfiduciato sulla possibilità di dibattere sui social, dove sembra che l’unico scopo sia “asfaltare” l’interlocutore. In un dibattito sano ci sono delle regole precise da seguire. Dovrebbe esserci un moderatore che fa seguire, ma questa è una cosa che non si vede mai. Ormai quando ci relazioniamo con un profilo on-line, non riusciamo a percepirlo come una persona reale come avverrebbe vedendosi in presenza. L’altra persona diventa l’equivalente di un bot o del personaggio di un videogioco.
Tu sei un artista del nuovo millennio che però utilizza un linguaggio sonoro abbastanza vintage, molto anni ’80…
Sì, è vero, la sento molto questa cosa perché è la musica a cui sono più legato per gusto personale, ma questo dipende moltissimo anche dal mio produttore Keen, facendo anche delle scelte sonoro per niente banali. Questo per me era importante perché, dati i testi molto particolari, ci sarebbe voluto poco per “scadere”. Quindi era importante che ci fosse anche un’accurata ricerca sonora. Per me, a livello di stile di scrittura e iconografia, andiamo da italiani come Donatella Rettore e il primissimo Renato Zero o Ivan Cattaneo ad artisti internazionali come David Bowie e Prince. Per le mie produzioni, dal punto strettamente musicale, se dovessi trovare un paragone direi Daft Punk oppure una dance pop band svedese chiamata Justice.
Un argomento che ti sta a cuore è quello della neurodiversità. Recentemente hai postato sui tuoi social un intervento contro la “sovrastimolazione” visiva ed acustica presente all’interno dei supermercati o dei ristoranti. Cosa puoi dirci in proposito?
Il post a cui tutti riferisci l’ho fatto un post per raccontare di un intervento in Senato all’interno di gruppo parlamentare per i diritti fondamentali della persona dove è stato portato all’orecchio della senatrice Mariolina Castellone. Tra queste istanze c’è quella che riguarda la sovrastimolazione, un tema molto ampio. Le persone affette a disturbi dello spettro autistico patiscono il fatto che nei luoghi pubblici e commerciali c’è spesso un vero e proprio bombardamento sensoriale. Oggi è difficilissimo trovare un’attività commerciale che non abbia la musica in sottofondo. La maggioranza delle persone neurotipiche non se ne accorge neanche e non saprebbe dire se dove va a prendere un caffè c’era la radio accesa o no. Se però quando viene tolto questo stimolo, se ne accorgono eccome, perché stanno meglio. In realtà questa sovrastimolazione risponde a una precisa strategia di marketing. Hanno calcolato che i la gente spende tra il 2 e il 10% in più perché appunto c’è la musica alta, le luci fortissime per esaltare il packaging dei prodotti, che spesso vengono spostati intenzionalmente per costringere gli acquirenti ad andarli a cercare e quindi trovare nuovi prodotti da comprare. Questo bombardamento sensoriale per cercare di aumentare le vendite è per noi pesantissimo. Quindi la mia richiesta era una best practice, come avviene all’estero, di avere magari un paio di ore al giorno di accessibilità dei supermercati in cui semplicemente si abbassa la musica e si abbassano un po’ le luci. Dopodiché, questo farebbe piacere a tantissime persone, in primis chi ci lavora, a cominciare dagli addetti alle casse a volte arrivano a un esaurimento nervoso perché devono lavorare per turni magari molto lunghi con la musica forte, le luci forti e il continuo beep degli scanner. Ad oggi il cervello umano non è sviluppato per gestire un bombardamento così massiccio di stimoli sensoriali. Magari tra mille anni sì, ma oggi di certo no.