“Mi ha dato un grande dolore farla soffrire“.
In occasione dell’uscita della sua autobiografia Cadere, rialzarsi, cadere, rialzarsi, Gigi Buffon ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera. In cui affronta il suo tradimento con Ilaria D’Amico durante il matrimonio con Alena Seredova, avvenuto nel 2014 e la sua lotta contro ansia e depressione.
La nascita della relazione
Il primo incontro con Ilaria D’Amico che ha sposato a settembre: “Dopo la partita con il Milan che decise lo scudetto del 2012, quella del gol non convalidato a Muntari, Ilaria mi fece una domanda capziosa: ‘Buffon, se si fosse accorto che la palla era entrata, l’avrebbe detto all’arbitro?’. Non sono mai stato un ipocrita. Risposi che non mi ero accorto che la palla fosse entrata, e se me ne fossi accorto non credo che l’avrei detto. Scoppiò un putiferio. Tempo dopo ci siamo trovati in un ospedale, a un evento di beneficenza. Abbiamo cominciato a parlare. E ho capito che la donna algida che vedevo in tv era in realtà dolcissima”.
La fine di una storia
Lo sportivo chiarisce che la sua storia con Alena era già giunta a un punto critico: “Era una storia ormai alla fine, attraversata da una crisi profonda. Ma mi ha dato un grande dolore farla soffrire, far soffrire i nostri figli, Louis Thomas e David Lee, che chiamo Dado. Oggi sono felice che Alena abbia un’altra famiglia: ha fatto una figlia, ha un uomo al suo fianco“. Su Alessandro Nasi, il secondo marito della sua ex moglie: “Credo che Alessandro abbia reso i miei figli persone migliori di come sarebbero stati se fossi rimasto a casa con le nostre infelicità; così come Ilaria ha fatto molto per i miei. Lei aveva già Pietro, insieme abbiamo avuto Leopoldo“.
La lotta contro la depressione
Gigi Buffon racconta di aver combattuto con la depressione: “Era la fine del 2003, il campionato era cominciato bene, poi cominciammo a perdere colpi e stimoli. Mi si spalancò davanti il vuoto. Cominciai a dormire male. Mi coricavo e mi prendeva l’ansia, pensando che non avrei chiuso occhio. Poi accadde anche in campo. Un attacco di panico. Sentivo una pressione al petto, non riuscivo a respirare, pensai che non avrei mai voluto essere lì e non avrei mai potuto giocare la partita. Rifiutai i farmaci. Ne avrei avuto bisogno, ma temevo di diventarne dipendente. Dalla psicoterapeuta andai solo tre o quattro volte, ma mi diede un consiglio prezioso: coltivare altri interessi, non focalizzarmi del tutto sul calcio. Ma la mia vita è stata davvero così: cadere, rialzarsi. Ho fatto errori, come tutti, e non li ho mai nascosti“.