Elena Bonelli: la voce delle donne

Elena Bonelli dà voce alle donne

Elena Bonelli, la voce di Roma nel mondo, dà oggi voce al grido muto di tante donne per “Women in Love”

Trash Italiano ha intervistato per voi, oggi, Elena Bonelli, attrice, autrice e cantante, conosciuta come “la voce di Roma”, in quanto ha portato la tradizione canora romana nei più importanti teatri internazionali, dalla Carnegie Hall di New York al Lincoln Theatre di Miami.

Nel 2002 ha dato vita con grandi nomi quali Carlo Lizzani, Sergio Bardotti, Pippo Caruso, al progetto “ROMA NEL MONDO”, che ha letteralmente rilanciato e fatto conoscere la canzone romana in Italia e all’estero.

Elena collabora, inoltre, con alcune grandi Università (LUISS, Tor Vergata, ISPA FIU e FAU in Florida ed in Cina, Giappone, Georgia e Angola ecc.) dove tiene “Lectio Magistralis” sulla storia della cultura romana e napoletana a confronto; oltre a questo, è impegnata anche in una innovativa opera di mecenatismo con il progetto multidisciplinare “Dallo Stornello al Rap”, concorso per giovani  cantautori che vogliono creare la nuova canzone romana.

Dopo aver conquistato le platee internazionali, accompagnata dalle importanti orchestre sinfoniche del mondo, questa sera Elena si presta per dare voce (in tutti i sensi) al progetto artistico-culturale-umanitario di Benedetta Paravia, in arte Princess Bee, contro il crimine delle mutilazioni genitali femminili (MGF), patrocinato dal Ministero della Cultura.

Questo pomeriggio, alle ore 17.30, in Casa Alice all’ingresso dell’Auditorium Parco della Musica (Viale Pietro de Coubertin 10), si terrà la presentazione della seconda serie delle video opere di “Women in love”.

Elena, parlaci un po’ di questo evento.

Sono qui a parlare dell’infibulazione femminile invitata da Benedetta Paravia, che sta portando avanti questo importantissimo progetto e a cui si deve l’attenzione messa da alcuni enti come UNICEF – AMREF e altre associazioni sull’argomento, di cui non si era mai parlato.

Oggi nel mondo ci sono oltre 200 milioni di donne e ragazze che sono state vittime di pratiche di mutilazione genitale. Qual è il tuo pensiero riguardo a questa tematica?

Io non sapevo che esistesse l’infibulazione: nell’ambito delle mie turnèe nel mondo, dove porto la canzone romana, ho calcato molti palcoscenici di nazioni africane: Kenya, Eritrea, Uganda, Mozambico e in particolar modo in Etiopia, dove sono tornata più volte.

Camminando nella città di Adissabeba ho avuto modo di assistere a scene di povertà che mi hanno molto segnata: persone che vivono letteralmente in strada, interi accampamenti!, e ho visto bambine che si recano di sera sul monte Entoto a raccogliere  legna e poi ne scendono con fascine, piegano  le loro schiene al mattino, dopo aver passato tutta la notte nel bosco . Così mi sono voluta informare se ci fossero delle istituzioni a tutela di queste bambine e da lì sono venuta a conoscenza della parola, a dir poco sconvolgente, che è –appunto –“infibulazione”.

Per infibulazione si intende la mutilazione genitale femminile, che consiste nella rimozione degli organi genitali affinché le donne non possano avere una vita sessuale normale, prevendendo sia il taglio delle piccole che delle grandi labbra. La parola infibulazione deriva da fibula, ovvero spilla, in quanto gli organi una volta tagliati  vengono ricuciti; e la cosa più atroce è che queste ragazze vengono date in sposa molto spesso a uomini più grandi: il giorno del matrimonio, dunque, il marito taglierà di nuovo la cicatrice prima dell’amplesso. Insomma, credo che tutto questo sia una delle più gravi violazioni dei diritti umani delle donne e delle bambine.

Nella tua ricerca, immagino, avrai conosciuto tante storie…

Ho sentito storie drammatiche di bambine, ragazze a cui vengono legate gambe e braccia sotto gli occhi delle mamme, che fedeli a questa atroce tradizione le incoraggiano a sottoporsi alla mutilazione: perché una bambina, se non fosse infibulata, sarebbe considerata una reietta nella società, società che non l’accetta e non la riconosce come essere umano.

Mi è stato raccontato di una ragazza, Lula, di origine somala, che è tornata in famiglia a 10 anni per conoscere i suoi parenti e, appena arrivata, è stata chiusa in una stanza, dove ha trovato ad attenderla quattro  donne armate di coltelli e bisturi, pronte a sfregiarla per sempre, sotto gli occhi della madre, che non ha fatto nulla per impedire lo scempio.

Dopo questa esperienza, che l’ha annullata completamente, provocandole peraltro dolori e spasmi, Lula si è ribellata e ha iniziato, aiutata da una associazione di donne, a portare il grido di coloro che hanno subito la stessa tortura; azione che ci auguriamo venga presa in grande considerazione da tutte le istituzioni mondiali che tutelano i diritti umani, e che l’infibulazione sia finalmente giudicata come un vero e proprio crimine, crimine che tutti noi aspettiamo sia debellato definitivamente.

Il progetto “Women in love” ha, recentemente, ricevuto due premi, durante il Giffoni Film Festival ed il Marateale.

Si tratta di una mostra-evento itinerante, attraverso le immagini video di 7 donne volontarie di diverse nazionalità, attraverso le quali l’organizzatrice, Benedetta Paravia, intende contrapporre l’estasi femminile, quindi la forza della natura, al crimine dell’infibulazione.

Immagini, dunque, che ritraggono l’orgasmo delle modelle volontarie, in contrapposizione alla violenza criminale delle mutilazioni, che alle ferite fisiche aggiungono gravissime lesioni psichiche per la femminilità -di fatto- negata dopo queste pratiche.