“Il punto è cambiare la narrazione, come quei testi rap che veicolano modelli tossici”.
Colapesce Dimartino hanno annunciato la separazione per un po’ di tempo. A raccontarlo a Vanity Fair è Colapesce (Lorenzo Urciullo è il suo vero nome), il quale spiega che I due artisti hanno “la pelle spessa a sufficienza” da non farci spaventare, anche per un eventuale calo di successo.
Visione poetica sul tema della mafia
Colapesce sta lavorando a un nuovo progetto solista. Ha inoltre firmato la colonna sonora di Iddu – L’ultimo padrino, film sulla latitanza di Matteo Messina Denaro con protagonisti, tra gli altri, Toni Servillo ed Elio Germano. Come sottolinea Rai News, il film sarà proiettato il 13 ottobre, tra le polemiche, presso il “teatro Selinus” di Castelvetrano. Polemiche, tra le altre, perché il proprietario del Cinema “Marconi” di Castelvetrano, Salvatore Vaccarino, figlio dell’ex Sindaco Antonio Vaccarino, noto per aver intrattenuto una corrispondenza con l’allora latitante Matteo Messina Denaro, si è rifiutato a differenza di altri cinema della provincia di Trapani. “Io mi sono innamorato preso di questa sceneggiatura” dice Colapesce, rimasto colpito dalla “visione poetica sul tema della mafia, spesso invece mitizzato”.
Studiare ed emanciparsi
Per Colapesce è una “cosa insopportabile”: lui da siciliano è vittima indiretta delle stragi di mafia. “Prima non sempre era così, nascere in Sicilia, all’epoca, voleva dire farlo nella mafia, quindi senza rendersi conto di determinati atteggiamenti, che non sono gli omicidi magari, ma il pizzo, le raccomandazioni, tutto. Finché non si ha la possibilità di studiare ed emanciparsi a livello culturale, e non è scontato, la mafia si normalizza. Ed è uno dei motivi per cui ancora non è facile estirparla dalla Sicilia”. Ma come lo stesso cantautore ammette il discorso è ben più ampio e non si ferma soltanto in Sicilia. Il Sudamerica di Escobar ne è un esempio, un mito amplificato sicuramente dalle serie televisive al pari dei ‘tour mafiosi in Sicilia’. “Vedo i gadget, mi bastano. Ovunque ci sono magliette con lupara e cannolo. Il punto è cambiare la narrazione: come quei testi rap che veicolano modelli tossici, machisti”.