Risolvere equazioni per andare a vivere vicino ad un buco nero e altre assurdità spaziali.
Vi confesso che Avevo bisogno di una nuova sezione. Non solo, quindi, di scavare nelle curiose evoluzioni del cinema odierno (tipo “no trama, no senso, no party”), ma di scavare proprio all’indietro. Come? Andando a ripescare i vecchi film, quelli che hanno segnato la vita di tante persone che ancora oggi si riuniscono in gruppi di “spettatori anonimi” per superare la cosa. Per introdurre questa rubrica mi sembrava doveroso condividere con voi un pezzo di vita. Per questo vi presento un collega, l’Emerito Cinecologo che mi ha guidata e ispirata nei miei studi alla facoltà di Cinecologia dell’Università dell’Approssimatissima Assunzione. Oggi ci tengo a condividere con voi un suo mirabolante scritto: una recensione ricca di pathos, avvincenti controsensi e di carità… per la NASA. Interstellar, celebre film che tanta gloria ha portato a Christopher Nolan nel 2014, infatti, non è altro che un lunghissimo spot a favore dei finanziamenti alla NASA, anche se molti se ne sono accorti solo dieci anni dopo. Ma non mi dilungo: ecco a voi l’analisi dell’esimio collega.
Prima Parte
In un anno imprecisato prossimo venturo, la Terra è afflitta da una “piaga” che nessuno sa cos’è, ma che sicuramente sarà dovuta al taglio dei fondi alla NASA. Grazie a questa piaga, si realizzano i sogni degli ecologisti post−Greta Thunberg e tutti si mettono a fare gli agricoltori nel Mid West americano, nel mentre imperversa lo stesso clima di mer*a che c’è sempre nel Mid West americano.
Il nostro eroe si chiama Cooper e si balocca con i giocattolini dei moduli lunari ricordando quando non avevano tagliato ancora i fondi alla NASA e lui poteva fare il pilota di astro-cosi senza dover zappare la terra e stare sulla veranda a bere birra in compagnia del suocero. Vive in una fattoria in compagnia dei due figli, tra cui la più piccola (Murph) dice che c’è un fantasma nella sua stanza che gli parla in codice morse. A scuola gli insegnanti dei figli gli ribadiscono che l’epoca della pacchia con i finanziamenti NASA è finita e che bisogna zappare la terra, ma lui non si dà per vinto. In precedenza, vagando per i campi col furgone, la nostra famigliola aveva bucato una ruota, ma poi vedendo sfrecciare in cielo un drone indiano (che ci fanno gli indiani qui? Non è che bisogna aumentare i finanziamenti alla NASA?) decidono di inseguirlo a tutta velocità nei campi di mais, sempre con la ruota bucata, che era pure quella di scorta.
Dopo averlo abbattuto con un telecomando, e nonostante l’affare sembri pesare almeno un paio di tonnellate, lo caricano senza difficoltà sul furgoncino (quello con la ruota bucata) e se lo portano a casa. Ad un tratto il fantasma che parla in morse fa trovare a Murph delle coordinate su cui padre e figlia si precipitano per scoprire che si tratta di quelle di una segretissima base della NASA (bisognosa di finanziamenti). Appena lo vede, il professor Brand gli dice subito: “Hey, che fortuna che sei capitato qui! Abbiamo giusto in programma un a missione spaziale in culo al cosmo e non sapevamo chi mandarci. Sai, quelli che abbiamo mandato dieci anni fa non sono più tornati e si dovrebbe andare a vedere che fine hanno fatto.”
“Accetto!”
“Ma non sai neanche di cosa si tratta…”
“Accetto lo stesso!”
“Va bene, del resto già in ‘Stargate’ abbiamo mandato uno squinternato mezzo alcolizzato dall’altra parte dell’universo. Cosa potrebbe andare storto?”
Gli spiega così che degli esseri sconosciuti che ci vogliono bene hanno piazzato un portale spazio temporale (wormhole) che ci consente di arrivare su altri pianeti e trovare quello dove traghettare l’umanità in pericolo sulla Terra. E dato che questi esseri ci vogliono veramente bene, il portale dove l’anno piazzato? In un armadio? Nel parcheggio di un supermercato? All’imbocco della tangenziale? In un posto facilmente accessibile? In orbita? No, dalle parti di Saturno, per rendere la cosa più comoda e semplice possibile e per richiamare l’attenzione sul bisogno di altri finanziamenti alla NASA.
Comunque, Cooper, non se lo fa ripetere due volte. Dopo aver illustrato la sua sapienza scientifica dicendo che “la stella più vicina a noi dista 1000 anni luce” (servono ulteriori finanziamenti alla NASA per i corsi di aggiornamento), torna a casa, fa i bagagli (so che vi state chiedendo a cosa servano i bagagli dall’altra pare dell’universo…) e saluta la famiglia a cui teneva tanto. La figlia Murph protesta un po’, ma lui la convince con la teoria della relatività.
“Sai, Murph, pensa ai paradossi temporali, alle leggi sulla gravitazione, alla relatività ristretta… potremmo incontrarci che avremo tutti e due la stessa età…”
“Papà…”
“Dimmi, tesoro…”
“Ma vaff****lo!”
Cooper sale sul furgoncino (nella speranza che abbiano riparato la ruota) e corre verso la base NASA, non prima di aver ricordato alla sua famiglia l’importanza del 5×1000 in favore della NASA. Arrivato alla base, si imbarca sull’astronave in compagnia della figlia bona del professore e di due tizi che si capisce subito che nella sceneggiatura sono destinati a fare una brutta fine. L’allegra combriccola si iberna in vasche-sarcofago dove rifiuterebbe di entrare pure la mummia di Ramsete II e, dopo un sonnellino assistito da due robot a forma di libreria Ikea (servono finanziamenti aggiuntivi alla NASA anche per migliorare lo stile), si ritrovano nei pressi del portale saturniano. Dopo averlo attraversato con la semplicità di un sottopasso ferroviario, finalmente il nostro eroe chiede agli altri dove stanno andando. Così, per curiosità.
Gli svelano quindi che le famose entità che ci vogliono tanto bene (le stesse che hanno piazzato il portale comodamente raggiungibile con l’autostrada Venere-Nettuno, svincolo Saturno Est) ci hanno indicato tre pianeti da studiare dove potersi stabilire. E dove si trovano questi tre pianeti? Ruotano intorno ad un buco nero! Une dei tre (Miller) addirittura balla sull’orizzonte degli eventi, quindi prossimo a finire dentro al buco nero da un momento all’altro. I posti ideali per costruirsi un futuro, quindi,
A questo punto anche Fantozzi comincerebbe ad avere qualche leggerissimo sospetto sulla bontà di queste entità, ma ora che siamo arrivati fin qui che facciamo? Torniamo indietro? Eh, no! Anche perché sin da subito scoprono che hanno il carburante contato alla goccia (colpa dei mancati finanziamenti alla NASA) e che si sono dimenticati di fare il pieno verso Giove (stavano dormendo, del resto). Così, seguendo i segnali che arrivano ancora da quelli della precedente missione, decidono di andare proprio sul pianeta che staziona lungo l’orizzonte degli eventi. Eh sì, perché comunque si continua senza problemi a comunicare con la Terra e con questi pianeti meglio di WhatsApp. Solo con qualche anno di ritardo, ma meglio che niente.
Arrivati sul pianeta Miller, uno dei tre resta in orbita e gli altri scendono a terra, avvertendolo che ogni ora passata lì corrisponde a 7 anni sulla Terra (ricordatevi questo particolare). Sulla superfice del pianeta c’è un grande oceano che però si rivela essere un pozzangherone. Senza la minima esitazione i nostri eroi escono dall’astronave e ci si immergono dentro. Del resto, chi non si tufferebbe subito in un oceano di un pianeta sconosciuto che ruota intorno ad un buco nero dall’altra parte dell’universo? Scoprono così che l’acqua gli arriva alle caviglie, come a Rimini. Questo dettaglio, però, non è di ostacolo al formarsi di tsunami alti 100 metri che viaggiano al rallentatore e quando investono l’astronave non la frantumano in mille pezzi ma le fanno fare solo un po’ di surf (vedete a cosa servono i finanziamenti alla NASA?). Uno dei tre ci rimette la pelle ma solo perché il surf lo ha fatto dal vivo, senza salire sull’astronave.
Rimasti solo Cooper e la figlia bona di Brand, tornano sull’astronave in orbita e scoprono che per il loro amico rimasto a bordo sono passati 23 anni. Evidentemente Romilly (questo il nome del tizio) si trovava ancora sulla Terra e non lo sapeva. O aveva regolato il suo orologio sul fuso orario terrestre. Cosa che capitano alla NASA.
Seconda Parte
Nel mentre sulla Terra l’umanità ancora non si è estinta, Murph è diventata adulta e ora lavora nella segretissima base NASA per risolvere complicate equazioni alla lavagna con gessetto e cancellino, perché a causa della mancanza di finanziamenti (colpa vostra, maledetti tirchi!), alla NASA non hanno più neanche un computer o una calcolatrice degli anni ’70. Risolvere queste equazioni è necessario per mandare nell’orbita di Saturno delle grandi astronavi con lo stesso sistema con cui hanno mandato quella di Cooper senza equazioni (magia della NASA).
Il terzetto di navigatori interstellari ora è indeciso su quale dei due pianeti rimasti andare, dato che il carburante scarseggia e i nuovi finanziamenti alla NASA non arrivano. La figlia bona di Brand propone il pianeta Edmunds, perché lì c’è il suo ex fidanzato o quello che ne resta (era uno di quelli catapultati nello spazio dieci anni prima), ma gli altri due decidono per il pianeta Mann e poi le chiedono come va. Lei risponde: “Non è niente! Sto benissimo!”
Arrivati su Mann scoprono che è tutto ghiacciato e l’aria è piena di ammoniaca e quindi irrespirabile (altro regalo di “quelli che ci vogliono bene”) ma beccano la base del dottor Mann (appunto) e lo scongelano. All’inizio tutto bene, poi c’è uno scazzo nella brigata e Cooper e Mann finiscono col prendersi a cazzotti sulle montagne ghiacciate, sempre indossando il merchandising ufficiale NASA. Mann spacca il vetro del casco di Cooper che rischia di morire col volto bruciato dall’ammoniaca, però lui rimette a posto le cose togliendosi un guanto e aggiustando il casco, perché è noto che l’atmosfera di un pianeta alieno è pericolosa solo se la prendi di faccia, non sulle mani.
Tra una cosa e l’altra, la base esplode con Romilly dentro e Mann cerca di scappare con la navicella ma si schianta anche lui nello spazio perché non gli hanno insegnato la manovra di attracco giusta (servono più finanziamenti alla NASA per evitare il ripetersi si tragedie simili). Dopo aver sderenato un po’ l’astronave, Cooper e la figlia bona di Brand (che in tutto questo si chiama Amelia), scoprono che non possono sottrarsi alla gravità del buco nero se non mollano un po’ di zavorra (perché è risaputo che qualche chilo di bagaglio fa la differenza per un buco nero). Cooper decide allora di lasciarsi andare nel buco nero per scoprire cosa c’è dentro e raccogliere i famosi “dati” che tanto servono a risolvere l’equazione alla lavagna (non l’ha ancora pulita nessuno, eh).
Per fortuna di Cooper, secondo la NASA un buco nero è come uno scivolo dell’Acquasplash, solo un po’ più grande. Non qualcosa che disintegra all’istante la materia a milioni di chilometri di distanza, ma un tunnel un po’ buio dove alla fine appari dietro l’armadio della stanza di tua figlia e scopri che sei tu il fantasma pentadimensionale che le mandava i messaggi in codice morse; e che il tuo io futuro è quello che ha costruito il portale attorno a Saturno e ha indicato come pianeti vivibili tre cessi ruotanti intorno ad un buco nero. Perché con lo scorrere relativistico del tempo, non è che un idiota rinsavisce, ma diventa solo un idiota con l’Alzheimer. Ma adesso che abbiamo i famosi “dati” prelevati dall’interno del buco nero come se fossero pezzi di intonaco, come fare a trasmetterli alla figlia Murph? Ma inviandoli come segnali morse sulla lancetta dei secondo su un vecchio orologio scassato, no? Chi non ci farebbe caso?
La fattoria è circondata da tempeste di polvere. Il figlio del figlio di Cooper tossisce (strano!) e un medico dopo avergli auscultato la schiena per dieci secondi sentenzia: “è grave!” Allorché il figlio di Cooper (si chiama Tom) fa l’unica cosa intelligente del film: stende il medico con un pugno e manda a cagare la sorella che lo difende.
Murph per rientrare a casa e riprendersi l’orologio che manda segnali morse dà alle fiamme il campo di mais da cui dipendeva la sopravvivenza della famiglia, ma chi se ne fotte. Appena recupera l’orologio si precipita alla base NASA e finalmente cancella le equazioni scritte col gesso sula lavagna si mette a scriverle su dei foglietti che poi lancia in aria gridando “Eureka!” (sul serio!). Finalmente le equazioni sono state risolte e possiamo costruire un’astronave come quella che abbiamo mandato nello spazio prima senza equazioni.
Dopo questo, il buco nero attorno a Cooper si dissolve e lui si sveglia fresco e profumato nel letto d’ospedale di una base spaziale gravitante intorno a Saturno dove è stata verosimilmente trasportata l’umanità ricca e privilegiata made in USA, mentre il resto può tranquillamente andare a farsi fottere sulla Terra. In questa stazione orbitante, ci sono campi da baseball, bandiere americane e da qualche parte McDonalds. Cooper fa in tempo a rincontrare Murph che ora è vecchia e sta morendo. Non ha visto la figlia per tutta la vita, ma ne valeva la pena… no?
Ultima scena: sul pianeta Edmunds, Amelia (la figlia bona di Brand) ha rincontrato il suo vecchio fidanzato e cui lui ha messo su una casetta come quelle dei paesini americani, sempre con la bandiera e una cassettina per le offerte alla NASA, che non si sa mai. All’inizio della scena la vediamo con la tuta e il casco, segno che l’atmosfera non è respirabile. Poi si toglie il casco e resta all’aperto tranquillamente, per farci capire che lo teneva solo perché lo prevede il contratto con la NASA (i caschi questo mese sono in offerta speciale).
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