Strategie di abbordaggio con nomi misteriosi (a base di alcol).
L’amore travolge? È un’emozione che inebria? Se son rose fioriranno? No, no, e poi no. Players ci dice benissimo che: ci sono un mucchio di strategie con tanto di manuale. Inebria solo l’alcol (e badate che deve essere tanto); le rose ognuno le fa fiorire quando gli pare. Anche se non è periodo? Sì, ma pure se non sono rose ed è un cactus? Certamente, si può fare tutto. Quello che conta è avere la giusta dose di esaltazione mentale, un gruppo di amici che nelle ore di lavoro non fanno che creare grafici, occupando sale conferenze per parlare di come portarsi a letto Tizio, Caio e pure Sempronio e il gioco è fatto. Non avete a disposizione un gruppo così? Fa niente. Se le comparse mancano, Players ci dice che, di buon grado, estranei si fanno coinvolgere per prendere parte alla messinscena, senza avere un briciolo di tentennamento.
Ma, bando alle ciance. Tra grafici stile NASA, trucchi e parrucchi alla 007 e un pizzico di stalking, vediamo come la storia di Mack (Gina Rodriguez) che si invaghisce di Nick (Tom Ellis), arriva a farle scegliere Adam (Damon Wayans Jr.). Perché? No, non è l’amore che trionfa, non cominciamo con i luoghi comuni: lo sceglie perché qualcuno glielo dice! Capito che colpo di scena? Profondissimo.
C’è trucco, c’è inganno
Partiamo dal presupposto che questa storia si poteva raccontare in meno tempo, sicuramente un pelino meno di 105 minuti. Si potrebbe poi dire che si poteva pure non raccontare, ma ormai il danno è fatto. Ad ogni modo, una delle cose che attrae di Players è la sua promessa al pubblico di rivelare eccezionali tecniche di abbordaggio. Per capire quali (davvero, non sono proprio chiarissime), dobbiamo addentrarci nella trama.
L’abbordaggio è scienza
Mack è una giornalista sportiva (lo dicono spesso ma non la vediamo lavorare quasi mai) e ha un gruppo di amici che lavorano pure loro in redazione (anche loro non capiamo bene quando lavorano). Insomma c’è un ufficio che però, come una Bat-caverna funge da luogo di ritrovo per riunioni su segretissime tecniche di rimorchio che Adam si diverte a riportare su grafici stampati su grossi cartelloni. Le tecniche sono così segrete che non si capisce nulla dai loro nomi. Quello che Players ci insegna è che “goccia a goccia, fantasia Fiji, versa e precipita, il bel britannico” sono tutte strategie papabili.
Le idee migliori, ad ogni modo, non vengono mai quando il gruppo parla, ma quando beve. E con il fatto che bevono sempre, per tutti i locali della città e pure a casa, ogni idea gli pare la migliore. Insomma con le loro migliorissime idee ingannano tutti e quasi sempre nei bar dove, nota importante, bevono pure tutti gli altri. Per buon senso registico di Trish Sie (firma autoriale di questa progenie alcolizzata), nessuno dei personaggi guida, al massimo prendono la bicicletta.
Il “bere” vince sempre
Che succede a un certo punto? Succede che Mack si accorge di avere un’età e vuole una relazione seria e si stufa del rimorchio selvaggio. Allora decide, da persona matura, di farsi aiutare dal suo gruppo per conquistare un quasi Premio Pulitzer che le pare un buon partito: il Nick che dicevamo all’inizio. Nick, che sarà pure un giornalista che va forte e un bravo scrittore, ad ogni modo ha la sveltezza mentale di un bradipo e non si accorge minimamente di essere seguito e controllato ogni volta che esce di casa. Quindi ci casca con tutte le scarpe e comincia con Mack una storia fondata sulle bugie. Tutto va per il meglio tra menzogne e messinscena, fin quando Nick, dopo un tempo indecifrato (quanto sono stati insieme? chissà), dice a Mack che scrive una schifezza. Lei se la prende, lo lascia e… si butta sul lavoro? Coltiva un hobby? No, mangia e beve.
Uno vale l’altro
A quel punto i preoccupati amici-gruppo alcolisti anonimi ma noti, le dicono parafrasando “non essere triste: Adam ti ama da dieci anni”. Mack, sorpresa come se le avessero detto che è finita la carta igienica in bagno, con un mega plot-twist, alla domanda “lo ami anche tu?” decide che sì, lo ama pure lei. Così, con l’aiuto della squadra dell’inganno lo incontra, gli dice che lo ama e lui, dopo soli dieci anni, la bacia. E titoli di coda benedetti.
Adesso, un paio di osservazioni. Il genere del film è forse un thriller? Cioè, chi sono questi che non lavorano per ingannare e portarsi a letto il prossimo? Come comprano tutti quei drink? Perché si sono organizzati così? Chi ha tirato fuori questa storia degli schemi? Ma soprattutto: Adam ci ha messo dieci anni a non farsi avanti perché così fa più amore più vero? Tante domande rimangono sospese in una sola certezza: non c’è nessun sequel in vista. E noi per questo diciamo grazie a Trish Sie.
Che è successo a Lucifer Morningstar?
Il punto davvero dolente di tutto il film è Tom Ellis: ma che gli hanno fatto? Noi ce lo ricordiamo nella serie TV Lucifer come un diavolaccio aitante con gli occhi rossi, che regge l’alcol una bellezza ed ha perfetti movimenti intestinali (pure quelli) senza intolleranze al lattosio. In più è uno sciupafemmine come ce ne sono pochi e ne sa una più di se stesso… del diavolo, insomma. Qui nella versione Nick si è trasformato in un uomo con la profondità di una vasca da bagno. Che sì, scrive, ma non si capisce bene come e cosa, dal momento che non sembra avere niente di buono se non forse il cotone delle lenzuola della camera da letto. Lucifer Morningstar aveva certo più gusto. Vero pure che era immortale, un vantaggio da non sottovalutare. Però ci si aspettavano prodezze sessuali che hanno avuto il loro picco nella mascherina sugli occhi per dormire. E perché, allora, Mack sarebbe dovuta cadere ai piedi di un uomo così? Perché sì, sennò che storia giravano. D’accordo, ci può stare. E perché Mack alla fine lo lascia? Perché sì, a lui non piace come lei scrive. Okay. Ma perché scegliere Adam? Le hanno detto così gli altri del gruppo e quindi perché no. Boh, aggiungerei.
Ecco, Players è esattamente uno di quei rari film capaci di farti sentire cose mai provate, emozioni che non credevi esistessero, trucchi che Copperfield “ti spiccia casa”. Soprattutto Players è uno di quei film che alla fine di tutto ti lascia un meraviglioso senso di boh e di 105 minuti andati, così. Perché? Boh.
Meglio berci sopra.