Dopo aver sofferto per 20 anni a causa di un ictus che l’ha gravemente colpita nel 2001, portandola ad un passo dalla morte, Sharon Stone si è confessata in una lunga intervista per Vogue America, raccontando cosa significa la disabilità per un’attrice come lei.
In quel drammatico 2001 la vita di Sharon Stone subì una svolta che l’avrebbe segnata per sempre. Un’emorragia cerebrale durata nove giorni la lasciò con solo l’1% di possibilità di sopravvivenza a detta dei chirurghi che la operarono. Oggi la Stone è brutalmente sincera riguardo al suo percorso e al devastante effetto che ha avuto sulla sua carriera. Vuole che tutti conoscano la sua storia, ma soprattutto le donne che sono significativamente più a rischio di simili incidenti cerebrali, come spiega Michael Lawton, neurochirurgo del Barrow Neurological Institute in Arizona. “C’è una netta inclinazione verso le donne con questo disturbo”, dice Lawton, il quale afferma che circa due terzi dei pazienti con aneurismi cerebrali sono donne.
Il giorno che tutto cambiò
La Stone ricorda vividamente il giorno in cui si trovò al pronto soccorso di Los Angeles. Il suo primo sintomo fu un dolore simile a un fulmine alla testa. “Ricordo di essermi svegliato su una barella e di aver chiesto al ragazzo che la spingeva dove stavo andando, e lui ha risposto: ‘intervento chirurgico al cervello'”.
“Un medico aveva deciso, a mia insaputa o senza il mio consenso, di sottopormi a un intervento chirurgico esplorativo al cervello e mi ha mandato in sala operatoria.” Immediatamente scatenò l’inferno in ospedale finché qualcuno, non l’ascoltasse. “Ciò che ho imparato da quell’esperienza è che in ambito medico, le donne spesso non vengono ascoltate, soprattutto quando non hai una dottoressa”.
Stone aveva subito la rottura di un’arteria vertebrale, che aveva provocato un’emorragia cerebrale. Spesso dipende da un trauma fisico o potrebbe essere anche di origine genetico. Può succedere anche senza una ragione chiara. “La mia prima angio-TC non rivelò nulla, quindi hanno deciso che stavo fingendo”, spiega Stone. “Il mio migliore amico li convinse a fare un secondo controllo e così hanno scoperto che avevo
un’emorragia, in tutta la zona subaracnoidea e che la mia arteria vertebrale era rotta. Sarei morta se mi avessero rimandato a casa.”
Il recupero e la riabilitazione
Il recupero di Stone dall’intervento chirurgico è stato traumatico quanto la sua permanenza in ospedale. Aveva perso molto peso, balbettava e faticava a camminare. “Ho sanguinato così tanto nella zona subaracnoidea (testa, collo e colonna vertebrale) che il lato destro del mio viso era crollato, il mio piede sinistro si trascinava gravemente e balbettavo molto”, aggiungendo che ancora oggi assume farmaci ogni
giorno per alleviare la balbuzie e le gravi convulsioni cerebrali. “Per i primi due anni mi venivano anche questi strani nodi simili a nocche che si formavano su tutta la parte superiore della testa e mi sembrava di ricevere un pugno. Non riesco a esprimere quanto sia stato doloroso tutto ciò”. La Stone ha anche sperimentato periodi di depressione durante il suo lungo recupero durato 10 anni.
Hollywood e gli amici
A Hollywood, con alcune eccezioni degne di nota come Michael J. Fox e Steven Spielberg,
nessuno ha sostenuto la sua carriera dopo l’incidente. “Nascondevo la mia disabilità, avevo paura di uscire e non volevo che la gente lo sapesse. Solo il mio amico Michael J. Fox mi ha incoraggiato e mi ha spinto a vivere la mia malattia senza vergognarmi. Pensavo solo che nessuno mi avrebbe accettato.”
La Stone negli ultimi anni ha vissuto lontano da quel mondo dello spettacolo che le ha voltato le spalle, ma è desiderosa di non lasciare che la sua disabilità la definisca. “Penso che molte persone si identifichino con la loro malattia come ‘Io sono questa cosa’, e questa non può essere la tua identità. Nel mio caso, mi è stato tolto così tanto. Ho perso la custodia di mio figlio, ho perso la carriera e non ho potuto lavorare, inoltre stavo affrontando un divorzio e sono stato messa alla prova, ho perso molto non avrei potuto permettere che questa storia mi qualificasse come persona. Ma devi alzarti e dire: “Okay, è successo e adesso?”
Il suo medico personale, il dottor Lawton approva la sua decisione di condividere la sua storia. “È diventata un’ispirazione per tante altre donne che soffrono di questa malattia perché vedono non solo in lei una straordinaria attrice, ma qualcuno che ha subito un duro colpo e ha lottato per tornare indietro. È una strada difficile e le persone devono essere forti per intraprenderla perché può facilmente distruggerti. Ecco perché ci teniamo tanto al sostegno di Sharon e a mettere in risalto la sua storia perché è molto commovente e motivante per tante persone.”