Si gettano tra le fiamme del pullman a Mestre
Boubacar Toure, operaio di ventisette anni di origini gambiane, e il suo collega, Godstime Erheneden, operaio nigeriano di trent’anni, non hanno esitato a gettarsi tra le fiamme per cercare di mettere in salvo quante più vite possibile. Con le mani ustionate, gli occhi pieni delle immagini dei volti delle persone che non ce l’hanno fatta, Boubakar racconta:
«Stavo cucinando del riso e ho sentito un rumore fortissimo: pensavo fosse un terremoto. Poi è corso il mio amico Godstime, mi ha detto che aveva visto cadere un autobus dal cavalcavia».
I due si precipitano, i momenti seguenti sono concitati e accompagnati da un senso di speranza: tra il rogo che avvolge il pullman, gli operai riescono a salvare quattro persone, persino un cane, sottolinea Boubakar. Ma per molti è troppo tardi.
Salvare quante più vite possibile
Nella disperazione del momento, l’unico pensiero dei due operai è stato quello di salvare quante più persone possibile. Boubakar ha riportato ustioni alle mani e Godstime nella concitazione del momento ha perso le scarpe, ma entrambi erano determinati a non fermarsi. Le fiamme però erano alte, troppo per permettergli di continuare:
«Volevo salvare ancora quelle persone che gridavano, ma le fiamme stavano crescendo e sono diventate troppo alte. Mi sono dovuto arrendere.»
Il pullmann della società La Linea è precipitato martedì 3 ottobre a Mestre, dalla sopraelevata che permette il collegamento con Marghera e l’autostrada A4. A bordo trentanove persone.
La dinamica dell’incidente
L’autista di quarant’anni, Alberto Rizzuto, morto tragicamente sul colpo, fa parte delle ventuno persone dichiarate decedute. Un ultimo messaggio dell’uomo lasciato su Facebook alle 18.30, un’ora e mezza prima della strage, recita: “Shuttle to Venice” (ovvero, navetta per Venezia). Un messaggio che lascia l’amaro in bocca, che parla di un viaggio di vita spezzato.
La Procura di Venezia ha aperto un fascicolo di inchiesta sulla strage, per accertare le dinamiche dell’accaduto. Resta sconcerto e dolore per tutti quelli che non ce l’hanno fatta, per la disperazione sui volti dei sopravvissuti, per le ferite di chi ancora deve guarire. Ma il racconto dell’intervento di Boubacar e del suo amico Godstime, in qualche modo, lascia un messaggio di speranza: gli eroi, anche senza mantelli, esistono e spesso sono in mezzo a noi. Ogni vita, anche una soltanto, è preziosa.
Fonte: Corriere del Veneto